domenica 24 novembre 2013

Chicago

In assoluto, Hemingway è uno dei miei scrittori preferiti. Qualche giorno fa ho letto Ernest Hemingway. Una vita da romanzo, diagnosi psicoterapeutica e la meno eroica delle biografie. Linda Wagner-Martin analizza sentimenti e stati d'animo di un bambino insicuro di tutto che impara a non avere paura di niente.

Siccome non sa se scrivere o dipingere - e la cosa che gli riesce meglio è adattarsi alle circostanze - Hemingway inizia a scrivere seguendo i princìpi di Cézanne, anche se è un disilluso come Van Gogh. Lavora sodo, perché non ha soldi e deve sbrigarsi, diventare il migliore e sopravvivere. S'innamora di donne più vecchie perché sua madre non lo ha mai amato e deve rifarsi in qualche modo. Si sposa ma non è sicuro di volerlo, fa un figlio che non vuole così presto. Legge, instancabilmente, impara più veloce di tutti, scrive come uno che scarnifichi ossa e le disponga su un foglio. Si appassiona alle corride e ne scrive per così tanto tempo che alla fine, quando l'entusiasmo svanisce, gli sembra tutto uno schifo.
Divorzia, sposa una milionaria e poi la molla per una giornalista brava a scrivere quanto lui, e che non sopporta.
Da quando è tornato dalla guerra dorme con la luce accesa, per vedere la morte, se torna. Scrive Addio alle armi, che è la storia di un disertore che odia tutte le guerre e fa una pace per conto suo. Fitzgerald gli dice che è un libro bellissimo, lui gli risponde baciami il culo.
Scrive onestamente e senza barare ma anche se è il più bravo di tutti non sempre gli riesce. Scrivere è una faccenda maledettamente seria e tanto difficile: richiede talento, disciplina e una coscienza assoluta che impedisca di mentire. Scrive per vendicarsi, o per autoanalisi, e perché è la cosa più importante.
Quando non ci riesce va a pesca; o in Africa. Beve, sempre, sfinito dalla concentrazione.
Nel Vecchio e il mare mette decenni di allenamento ma festeggia il Nobel in una clinica psichiatrica. Gli elettroshock gli danneggiano il cervello, che è il suo capitale, e quando capisce che non riuscirà mai più a scrivere, si spara in testa come ha fatto suo padre trent'anni prima. L'oro schizza sul soffitto, all'infinito.

domenica 17 novembre 2013

L'importante è finire

Questo diario è un rischio e una disciplina.

Di solito mi scrivo dentro, in testa, perdendo quasi tutto. O appunto in fretta corsivi minuscoli, su pagine sparse che diventano mucchi, scoloriscono e si perdono.
A rileggerle direbbero: ricordati questo momento.

Da un po' di tempo questo blog è in cima alla lista delle cose che vorrei fare, domani. Nonostante la timidezza mi scoraggi, sarebbe bello farlo e basta, passarci del tempo, condividerlo. Scriverlo nel modo più sincero che so. Tenere insieme le cose che amo: i libri (i libri soprattutto), i viaggi, le scoperte, lo stupore, l'irrequietezza. Non perdere l'occasione. Finirla con gli inizi che non iniziano, finirla proprio adesso.