venerdì 3 gennaio 2014

Quel cane di Zola

Laurent cerca il cadavere di Camille all'obitorio e io non riesco a smettere di leggere Zola. Trentuno romanzi in trentasette anni, moli e pile di pagine ciascuno, e il primo dei propositi per il nuovo anno è leggerli tutti, subito.
Il pulp è facile al confronto.

La scuola naturalista avrà fatto fino in fondo il suo dovere nel momento in cui verrà messa fuorilegge in tutti i paesi del mondo, diceva Céline, e invece, oggi, il ritornello della descrizione ipertrofica del vero è diventato una formula buona per tenere chiusi i libri. Zola, che ha messo a leggere le bestie operaie di Montmartre, l'Omero delle fogne, incline al letamaio epico, il pornografo Michelangelo dello sterco che trasforma tutto in fango, uno di quei disgraziati che meglio sarebbe se non fossero mai nati. Quello che ha fatto della merda un'eversione letteraria, che se solo un altro ci si prova, neppure si avvicina. 

L'Assommoir, che è il primo romanzo di Zola che ho letto, primo romanzo sul popolo che non menta e abbia l'odore del popolo, è la parabola di una bestia da soma, una sinfonia sinistra di Parigi, carnivora e edilizia, un romanzo cortese iniziato male, dove l'amore, se succede, è un idillio belato fra le ciminiere dei bassifondi, incorniciato in una bulimia centripeta di marciume, sbornie fatali, anomalie nervose, abiezioni, miserie nere, veleni, lesioni organiche, corna, coazioni, giallo sudicio dei crepuscoli parigini che mettono addosso una gran voglia di morire subito, tanto la vita delle strade sembra brutta. 
Tirate via il naso dalle pagine ogni tanto, prendete fiato. Pensate a Dante e all'igiene dei dogmi; pensate ai lemmi del vocabolario come a inferni di dettagli. Guardate Zola, che li usa tutti, trascina in strada la letteratura e democratizza il mondo intero in un romanzo, raccontando la storia del primo che passa

Adesso ho Thérèse Raquin fra le mani, un'isterica cresciuta nel letto di un malato, sepolta viva in una merceria, tranquilla solo se chiude gli occhi e s'immagina morta in una fossa. Zola ne studia le modifiche organiche pressate dalle circostanze, e a chi lo accusa di fare letteratura putrida risponde che l'accusa d'immoralità, in materia di scienza, non prova proprio nulla, perché lo studio sincero purifica tutto.

Con Zola mi è venuta la foga, lo bevo sotto ipnosi e mi dico Nanà è l'ultimo, poi smetto. Arriva il nuovo anno e io sto nell'Ottocento, col dubbio che sia una perdita di tempo voler sapere tutto di un mondo che non esiste più da così tanto.
Solo che appena inizio a leggere mi arriva uno che mi prende per mano e mi porta dappertutto, e io non riesco a lasciarlo finché non è morto.

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