domenica 29 maggio 2016

Storia di due che si lasciano

C’era un ragazzo e poi l’ho perso. Batto i tasti per trovarci un capo, le parole, un verso. Se mettessi tutto in fila potrei guardarci dentro, capire ciò che prima non capivo. “Fanne arte” mi dicono, “stendile su carta e vendile”. Le parole: le vuote sterili maledette parole, leggerle è facile ma sono sangue se sei tu a scriverle. Le parole non mi hanno mai protetta, hanno devastato e sciupato e io non le ho mai scelte. Datemi retta: le parole rovinano, sono una latrina guasta e intasano i nervi, sono fatte del niente di un nulla che suppongo per pura arroganza. Le parole fanno più male della speranza, da loro non si caverà mai del buono. Le scrivo in guerra, arruolata fuori tempo massimo. Guardo le altre ragazze, le vedo serene, io invece stringo in mano un’arma e la carico. Ogni volta mi dico di smetterla ma ogni volta le parole tornano e sono loro a darmi la penna. Vorrei starmene ferma e zitta e invece le seguo, mi metto a scriverle. “Dormi, non scrivere” diceva il mio ragazzo “le parole ti logorano, fai altro”. Ma io ho una musica in testa e devo sistemare le parole in fretta e in metrica, farle nette, spedite e poi lucidarle tutte quante. “Dormi, non scrivere” e io invece a non dargli retta. Ho fatto la mia corsa fino in fondo e poi, a un certo punto, l’ho perso. Le parole: le sante squallide parole mi hanno fatto i nidi sotto le tempie, hanno bruciato tutto. Le parole sono una disgrazia, non mi abbracciano la sera, sono un tarlo malato che mi sfianca e riaizza. “Sei tutta nervi” diceva il mio ragazzo “mangi il doppio di chiunque per poter reggerti in piedi”. Le parole: le vigliacche boriose stupide inutili parole, giurano di darmi il meglio ma non fanno che pretendere il mio tempo. “Sì ma tu sai scriverle” mi dicono gli altri, “vai avanti, perché a noi piace tanto leggerle”. Sì, ma io quando le scrivo digrigno i denti, sono sola e piango, se devo lasciarci la pelle non ne vale la pena. Mille volte farei il cambio: ridatemi il mio ragazzo, il suo sorriso e la sua buonanotte. Ridatemi i biscotti e i fiori, violente squallide sterili inutili parole.

E le parole, le vuote bugiarde vigliacche parole, adesso che mi servono spariscono. Non mi sospirano l’ispirazione, non saltano sul foglio, non mi aiutano con il dolore. Le parole non mi consolano, le parole non mi bastano, dalle parole ho troppe parole, per colpa delle parole ho il suo silenzio. Le parole mi lambiscono ma non mi danno che metafore e io delle metafore che cosa me ne faccio? Forza parole, tenetemi stretta, avete vinto, ho tutta la notte per voi adesso. Non ho più nessuno da incontrare, nessuno che mi aspetti, possiamo batterci finalmente: sfinitemi. Fatemi vedere quanto valete: venite piene d’idrocarburi, fatevi petrolio, datemi spago e datevi fuoco, salite e pompatemi l’ego. Voglio vegliarvi fino a domani: prendete la mira, spruzzatemi il virus. Datemi un buon rigo, datemi mine, scrivetemi storie che possa rileggere, voletemi bene. Non ho più nessuno che mi tenga per mano e per voi, per ogni virgola, in ogni punto ho sofferto come un cane.

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